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Augusta, gli agenti di Polizia penitenziaria: un lavoro difficile nella riflessione del Sippe

La segreteria provinciale del Sippe, di cui fa parte Nello Bongiovanni, sottolinea la condizione degli agenti che lavorano dentro le carceri e di cui si sa ancora poco

In occasione del 208° anniversario della costituzione del corpo di Polizia penitenziaria che si è celebrato ieri, la segreteria provinciale del Sippe, di cui fa parte Nello Bongiovanni, in una lettera aperta riflette sulla condizione degli agenti che lavorano dentro le carceri e di cui si sa ancora poco, di uomini e donne, che nonostante gravi carenze di organico, deficienze di strutture e di mezzi, “rappresentiamo lo Stato stesso nel difficile contesto delle galere. Siamo le stesse persone che, statisticamente, in ogni istituto penitenziario d’Italia, ogni mese, sventano circa 10 tentativi di suicidi posti in essere da detenuti.  Ma – si legge- nessuno lo dice. Ogni giorno affrontiamo il nostro difficile lavoro nonostante l’aumento del numero dei detenuti, le tensioni e le difficoltà di lavoro all’interno delle carceri, per svariate ragioni, con cui il personale della Polizia penitenziaria deve fare ogni giorno i conti. Nonostante la cronica carenza di organico e le mille difficoltà operative-strutturali, tra i detenuti, con compiti di sorveglianza e trattamento, 24 ore su 24, 365 giorni l’anno, c’è il personale di Polizia penitenziaria”.

L’agente di Polizia penitenziaria, che deve rappresentare la legge, la rappresenta da solo, con la sua divisa, con la sua coscienza professionale, con il suo coraggio, con il suo rischio. L’importanza del personale di Polizia penitenziaria si evince ad esempio la sera, quando può verificarsi un tentativo di suicidio (come si è verificato e si verifica, purtroppo, abbastanza frequentemente) o quando il detenuto riceve un mortificante telegramma dalla famiglia che incrina la sua serenità. In tali momenti, insieme a quel detenuto, non vi sono gli educatori o gli assistenti sociali, ma gli agenti di Polizia penitenziaria, pur risultando sotto organico rispetto al sovraffollamento di detenuti.

“Siamo noi quelli che stanno in prima linea, che stanno nelle sezioni detentive, che stanno in contatto quotidiano con i detenuti. Il personale di Polizia penitenziaria impersona, dunque, la legge e la sicurezza della società, ma nello stesso tempo gli si chiede un’altra cosa: di far sì che il nemico diventi un amico. Con una mano lo Stato rinchiude il detenuto e lo allontana dalla collettività, con l’altra lo invita a rientrarvi attraverso il recupero, la rieducazione, il reinserimento nella vita civile. Si tratta quindi di un compito che presenta difficoltà senza pari, un compito arduo e insieme straordinariamente nobile”.

Alle donne e agli uomini della Polizia penitenziaria come rappresentanti dello Stato si chiede di fronteggiare il mafioso, il rapinatore, il pedofilo, “nei cui confronti dobbiamo rappresentare l’inflessibilità, la durezza, l’implacabilità della giustizia. Allo stesso tempo ci viene domandato di capire i drammi umani. E’ evidente quindi quanti problemi umani, anche drammatici, dobbiamo ogni giorno affrontare nel silenzio più assoluto”– conclude la lettera


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